In tema di processi…

Le idee non si processano

 

Fino
il 26 ottobre del 2004 le exscuole Perini erano  uno stabile vuoto,
abbandonato da anni, lasciato al degrado, vetri rotti, muri
danneggiati, immondizia sparsa ovunque. All’esterno un vecchio cancello
a circondare un giardino bellissimo, inaccessibile al quartiere. Una
grande centrale elettrica alle spalle, una piazza di fronte.
Un territorio di periferia come tanti, ricco di risorse invisibili e di potenzialità inespresse.

 

Noi
siamo le donne e gli uomini che il pomeriggio del 26 ottobre questo
spazio hanno aperto e quindi liberato, pulito colorato riempito vissuto.

È
diventato in poco tempo uno dei luoghi più vivi del quartiere,
l’ombelico anomalo di quel territorio, una cerniera tra la città (il
macro), le sue contraddizioni, i suoi conflitti e il micro, la
tranquillità appartata, genuina di quell’angolo di Verona.

Un
luogo che passo dopo passo, in tre anni, ha provato ad ascoltare e a
parlare con il territorio in cui andava a collocarsi, a rispettarlo a
pretendere lo stesso.

Un rapporto complesso fatto di alcuni contrasti ma soprattutto di molte moltissime occasioni d’incontro.

Le iniziative, tante e diverse, non possiamo qui sintetizzare.

Un
luogo vissuto dai tanti che già avevano alle spalle esperienze simili
ma anche da molte ragazze e ragazzi che ad esso si avvicinavano per la
sua originalità, per l’ empatia immediata, la complicità, la prossimità
con i personali vissuti quotidiani.

Uno
spazio aperto perché poggiava le proprie fondamenta sull’autogestione,
una forma di vita, politica e sociale, che si basa sul protagonismo dal
basso, sulla responsabilizzazione condivisa, sull’assenza di eleghe
sulle scelte prese e partecipate da tutti nelle assemblee di gestione.

A questo non volevamo allora e non vogliamo adesso rinunciare.

Se
l’autogestione era/è un obiettivo, l’occupazione era ed è (lo abbiamo
ribadito centinaia di volte) un mezzo, prezioso, talvolta
irrinunciabile, ma non un fine a se stesso.

Per
questo, abbiamo capito da subito che la ricchezza della Chimica in quel
luogo coincideva con la sua fragilità. Per farla vivere e crescere, per
permetterle di fare e diventare progetto era necessario uscire dallo stato
di precarietà alla quale lo stato di “illegalità formale”, non
sostanziale (perché è nella sostanza illegale abbandonare al degrado
uno spazio simile), ci condannava. Abbiamo da subito attivato contatti
con le istituzioni di prossimità, la circoscrizione, e cittadine, l’amministrazione comunale.

Abbiamo
avviato una vertenza non autoreferenziale, perché non trattava di noi e
delle nostre esigenze, trattava dei bisogni e dei desideri di una parte
della città, della sua popolazione, di un’idea “sul cosa e il come” in
tema di beni comuni, di spazi pubblici, dal loro utilizzo alla loro
fruibilità.

Una
proposizione non facile da accettare "anche" per una amministrazione di
centro sinistra, che peraltro non gradiva l’atteggiamento critico
espresso nelle e dalle lotte che in quello spazio nascevano, che da
quella soggettività venivano portate avanti. Scomodo.

Una
forma di vita collettiva che sappia essere sociale culturale e politica
al contempo crea immediatamente un immaginario, è una passione positiva
che costruisce ben oltre la stessa comunità che l’ha avviata.

 

Una
spina nel fianco a chi allora governava è diventato a maggior ragione
un regalo su un piatto d’argento a chi stava per arrivare, al nuovo
"Cangrande" della città, che di noi avrebbe fatto il corpo tangibile di
uno tra i nemici, di cui la sua politica si nutre e si nutriva
:
sgomberare il centro sociale, cacciare i vucumprà cancellare i rom
dalla città…questi i punti chiave della sua campagna elettorale.

Come andò la storia lo racconta la cronaca.

Oggi
si apre un  altro racconto che contiene tutto il resto.  Un faldone
processuale nel quale 4 di noi arbitrariamente ritenuti i
“responsabili” di quell’esperienza verranno processati, per tentare di
condannare tutto: l’occupazione, le lotte, gli immaginari di cui siamo
responsabili.

Vorrebbero
infierire, farci saldare il conto per avere osato disobbedire, per aver
immaginato un’altra Verona, per non aver avuto paura, o forse solo per
intimidire chi ci dovesse riprovare.

Probabilmente sono loro ad avere avuto ed avere paura. Terrorizzati dagli altri dal diverso da se stessi dal futuro.

 

Oggi come allora rivendichiamo il senso profondo di quell’esperienza, oggi come allora ribadiamo:

le idee non si sgomberano, i bisogni e i desideri non si processano!!!

 

Chiediamo
alle tante individualità e realtà sociali, che hanno attraversato lo
spazio, di Verona e non solo, di esserci, nelle forme che ciascuna
riterrà più opportune. con la solidarietà attiva, con l’attenzione a
quanto accadrà e a quanto proporremo. La memoria è un ingranaggio
collettivo, ed è necessario che funzioni bene per immaginare insieme la
città che verrà.

 

                                             le/gli abitanti del centro sociale occupato autogestito lachimica

 

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